
Distruggete lo Chaberton!
Descrizione
Questo libro parla di cannoni, di traiettorie, di fatiche, di sangue e, soprattutto, di trecento uomini e del loro forte.
Ha inizio con gli studi impostati nell’austero e riservato palazzo di via XX Settembre in Roma ove i piemontesi, appena calati dal Nord, posero la sede dello Stato maggiore di un Esercito che si avviava a divenire nazionale; qui, in ben vigilate stanze, militari altrettanto austeri decisero la costruzione, ai tempi di Umberto I, del più celebre dei forti alpini. Vantava il primato europeo d’altezza per opere di fortificazione permanente rappresentando, al tempo stesso, una grave minaccia per la sottostante conca di Briançon ed una imperdonabile offesa al "grandeur" della sucettibile nazione cugina.
Non per niente De Gaulle nel 1947 – alla ricerca di una tardiva vittoria che gli era sfuggita altrove – pretese ed ottenne la vecchia e diruta fortezza.
Questo saggio, originale e completo, tratteggia la lunga storia dello Chaberton comprendendovi reconditi risvolti della 2ª guerra mondiale nel periodo 1943 – 45 e le difficili fasi dell’immediato dopoguerra all’epoca della sofferta stesura del trattato di Parigi.
Il blocco centrale degli avvenimenti illustrati – anzi, vissuti con sincera partecipazione – è, comunque, dedicato alla drammatica giornata del 21 giugno 1940, neppure quattro giorni prima che terminasse la breve ma cruenta battaglia italo-francese delle Alpi occidentali; ogni attimo di quella tragedia è documentato e "scavato" con pazienza di ricercatore e competenza di tecnico. Sotto questo aspetto, tutto veniamo a conoscere delle micidiali traiettorie francesi perfettamente centrate sull’ambito ed ambizioso bersaglio, posto ai limiti di gittata dei mortai impiegati nella mortale esecuzione.
Sintomatico a tal proposito il dubbio che ci prospetta il noto studioso di storia contemporanea – Giuseppe Mayda, de "LA STAMPA" – che del volume ha curato la prefazione sostenendo, nel contempo, l’impegno del Castellano con incoraggiamenti e consigli:
"Anche se l’autore non lo adombra neppure – perché del tragico episodio ci dà una ricostruzione ed una interpretazione rigorosamente basate sui documenti, i rapporti degli Stati maggiori e la più moderna scienza militare, anche se tiene in conto i detti e i pareri di uno dei più famosi artiglieri del mondo, Napoleone – è probabile che il principale merito fu della fortuna se i mortai francesi centrarono così efficacemente lo Chaberton: qualcosa, intendiamo dire, come il 381 della Warspite che colpì la Giulio Cesare dalla distanza di 22.000 metri o la salva della Bismarck che centrò il fumaiolo della Hood".
Non conosciamo le scienze balistiche sino al punto di dare ragione al Mayda o al Castellano, anche se istintivamente saremmo portati a ritenere non trascurabile l’apporto della "dea bendata" nella riuscita delle cose umane.
Vorremmo, invece, nel proporre al lettore un testo avvincente ed appassionato indugiare sulla componente etico-militare del racconto rammentando la prima impressione che ci colse allorché terminammo la lettura del manoscritto che l’autore aveva sottoposto al nostro parere.
Inconsciamente ci venne alla mente la frase “ogni nazione ha l’esercito che si merita”, di cui ci è ignota la provenienza ma che, comunque, ci sembra rispondente a sintetizzare le conclusioni – prima e di là del merito, indubbiamente, indubbiamente positivo – della fatica di Castellano.
Sotto tale semplice angolatura, il comportamento della 515ª batteria “Guardia alla frontiera” – quale espressione, sia pur minuscola, di una sana compagine militare e di un popolo altrettanto sano – costituisce, indubbiamente, motivo di vanto e titolo di merito per quella aliquota di cittadini italiani che in essa si riconoscono.
Sulla restante aliquota preferiamo tacere!